IL PRIMO PASSAGGIO, QUELLO PIÙ SEMPLICE E COMPRENSIBILE...
La morte nella società moderna non ha più posto: essa rappresenta una sconfitta per la medicina, uno scacco per la tecnologia,
\un'offesa estetica per il look salutistico più di moda e decisamente un problema per gli amministratori alle prese con il
crescente sovraffollamento dei cimiteri. In culture diverse dalla nostra, e anche nel passato della cultura occidentale, la
morte riveste un'importanza fondamentale per la società e per l'indviduo. Insieme con la vecchiaia, che della morte è il
presagio più tangibile, l'ultima avventura umana si è guadagnata un'attenzione e un rispetto che il nostro attuale modo di
vivere non riesce più nemmeno a capire.
Tramite una panoramica storica e culturale, rivissuta dalla sensibilità di chi scrive, si cercherà di capire qual è il valore
della morte secondo alcune culture, quali sono i motivi per cui attualmente la morte è diventata un tabù sociale, quali
sono i modi in cui tale rimozione psicologica si attua e quali sono i possibili modi per risolvere il conflitto tra dato
materiale incontrovertibile e rimozione, nel tentativo di suggerire dei comportamenti più ripettosi degli attuali nei confronti
dei vivi e dei morti. Si tenga presente che comunque quanto scritto è frutto di elaborazione personale su spunti culturali
altrui e su vicende di vita vissuta in prima persona e che in nessun modo chi scrive si arroga il diritto di censura su
nessuna delle idee presentate, neanche di quelle che non collimano con i convincimenti dell'autrice.
LA MORTE NELLE CIVILTA' DEL BACINO DEL MEDITERRANEO
Nell'antico Egitto la morte, almeno quella dei faraoni e dei più alti dignitari, rappresenta un momento fondamentale della
vita comunitaria: gran parte dei reperti archeologici provengono da tombe regali, e i grandi momumenti quali le Piramidi altro
non sono che fastose tombe di faraoni.
Centrale per questa civiltà è il bisogno di una tomba, daa strutturare in modo che il defunto possa essere circondato da
oggetti familiari che simulano la genealogia, la gerarchia, il villaggio di appartenenza, i riti giornalieri sacri e profani.
La particolare cura posta nella conservazione del corpo del faraone tramite mummificazione rappresenta l'estremo rispetto per
il corpo del morto, che una volta risvegliatosi dal sonno della morte, avrà bisogno di tutto quanto conosce per potersi
muovere a suo agio nel mondo delle ombre.
L'anima del defunto, una volta staccatasi dal corpo, si trova a vagare nel regno dei morti, in cui, una volta sottoposto al
giudizio di Osiride, potrà trovare pace e vita eterna.
La concezione più caratteristica è che l'uomo "approda" ad una nuova dimensione, non muore perdendo ogni forma e identità,
tanto è vero che il defunto fa ancora parte della famiglia di appartenza, a cui rimane legato con l'obbligo di difenderla
dall'attacco dei demoni. Ne deriva quindi che l'uomo è costituito da una parte immortale che rimane in vita finchè qualcuno
lo ricorderà e se avrà superato il giudizio sulla propria vita.
In ogni caso sembra che la concezione egizia prevedesse una netta separazione tra il destino dei faraoni e quello dei suoi
sottoposti -gli uni destinati inevitabilmente ad un ricongiungimento con la divinità che in terra avevano rappresentato,
gli altri genericamente avviati ad una sopravvivenza di seconda categoria.
Nella concezione ebraica, basata sugli scritti della Bibbia, non c'è accenno a quale sarà il futuro dell'uomo dopo la morte: si trova solo l'affermazinone che dopo la morte, in un qualche momento, ci sarà una qualche forma di resurrezione. E' interessante notare che i farisei, almeno fino al II sec. a.C. ritenevano possibile la resurrezione dei corpi, mentre i sadducei no: dopo la comparsa del libro di Daniele le due posizioni tendono a non contrapporti più nettamente, ma il pensiero ebraico non si sofferma molto su questo momento e accantona ogni speculazione del genere come inutile.
Nel mondo greco, e quindi in quello romano, la morte assume una fisonomia mitica con la figura di Thànatos, (morte, appunto), infido realizzatore di inganni che ha piena potestà sugli esseri viventi, al di sopra degli stessi dei. Solo alcune figure di eroi o di esseri amati degli dei vengono sottratti al destino di vita immemore nell'ombra che accomuna tutti i mortali: qualcuno (Ercole, Ganimende) viene assunto in cielo, qualcun altro (Maia, la capra Amaltea) viene trasformato in costellazione, qualcun altro ancora ritorna dall'oltretomba dopo aver incantato o sfidato Thànatos (Orfeo, Persefone). Non c'è èsperanza di sconfiggre la morte né possibiltà di evitare il grigiore dell'oltretomba, in cui niente, nela migliore delle ipotesi, accade -nella peggiore vengono inflitti tormenti insoportabili (Sisifo).
La poesia descrive la perdita della giovinezza più che la morte stessa: le sole scene di morte che vengono cantate riguardano
eroi epici o delle tragedie: la morte ancora non viene sentita come estranea, e ha bisogno dell'apparato mitologico per poter
essere descritta. Pochissimi gli accenni a perdite personali da parte dei poeti alessandrini.
In campo filosofico ricordiamo Epicuro, il quale sosteneva che non ha senso temere la morte, in quanto, se si è vivi, non c'è
morte, se si è morti, non c'è vita e quindi non ci si può rendere conto di essere morti.
La cultura latina si muove sul sentiero tracciato da quella greca, cui aggiunge poco di originale: tutt'al più si accentua
la vena malinconica e personale di elegiaco rimpianto per la perdita di una persona cara, in quanto l'aldilà viene ritenuto
il luogo dell'ombra e dell'oblio. Si capisce quindi il valore dato al culto degli antenati, che in qualche modo assicurava
una parvenza di vita nella memoria dei vivi. La filosofia latina comincia ad affrontare il tema della transitorietà della
vita con tutte le sue vanità (Vanitas vanitatum, vanità delle vanità), per arrivare con Seneca ad una contemplazione della
morte scevra da ogni sentimentalismo.
Come per gli Egizi, anche per gli Etruschi la morte ha un ruolo essenziale, in quanto il modo in cui una persona viveva determinava la sua vita ultraterrena in un paradiso di delizie o in un inferno di tormenti. La cura con cui sono addobbate le tombe etrusche, decorate con affreschi a grandezza naturale e arricchite di sarcofaghi di terracotta e di suppellettili di lusso, fanno pensare che anche questo popolo ritenesse la tomba la casa (almeno transitoria) del defunto, che doveva essere accompagnato da tutto ciò che amava in vita. E' interessante notare che le viscere del morto venivano conservate, come per gli Egizi, in un canopo, vaso con testa umana e braccia che veniva posto nei pressi del corpo. L'estrema vivacità delle scene rappresentate nelle tombe etrusche, comunque, fa pensare che questo popolo amasse una vita ricca e rialssata e che la morte facesse parte integrante delle pratiche comuni.
La civiltà celtica è certamente dominata dalla credenza nella reincarnazione, già testimoniata da Cesare nel "De bello gallico". Come per le altre civiltà rimangono tracce abbondanti dei cimiteri in cui veniva praticata l'inumazione.
Il pensiero cristiano sulla morte si basa essenzialmnete sulla morte e resurrezione di Cristo, le quali testimoniano, insieme
ai miracoli (Lazzaro, il figlio della vedova di Nain) il potere del Padre, e quindi del Figlio, sulla morte. L'uomo non deve
temere il verificarsi della morte, che anzi segna il passaggio ad un mondo migliore, in cui ciascuno sarà trattato secondo
il suo vero valore e in cui la presenza continua di Dio assicura perenne felicità ai giusti. Fortissima, soprattuto ad opera
di Paolo di Tarso, la contrapposizione tra morte del corpo e morte dell'anima: l'una fa semplicemente parte del disegno
divino per l'uomo, mentre la seconda è frutto delle azioni sbagliate in vita e deve essere temuta e aborrita a ragione.
La vittoria del Cristo sulla morte ritorna amplificata in alcuni episodi dei vangeli apocrifi, in uno dei quali egli scende
nell'Inferno durante i giorni della sepoltura per recuperare Adamo al Paradiso, e nell'episodio della "Dormitio Mariana",
in cui si afferma che la Madonna non è morta ma si è addormentata per risvegliarsi in cielo. Anche da queste fonti, vicine
per tono e per spirito, al sentire popolare, il tema dell'immortalità del Cristo prima e del cristiano poi è diventata
patrimonio comune per tutto l'Occidente.
La teologia cattolica ufficiale, tramite la riflessione di alcuni teologi che si sono succeduti nel tempo, ha affermato che
il Giorno del Giudizio ci sarà la resurrezione dei corpi, cosa che ha fatto guardare alla cremazione come a un insulto
irreligioso nei confronti del morto, il quale, una volta risvegliatosi, non avrebbe più avuto un corpo di cui
riappropriarsi.
Il mondo medioevale cristianizzato dava estremo rilievo alla morte, vista come un momento di passaggio da una vita verso una vita, migliore o peggiore di quella terrena a seconda che il defunto si fosse o meno reso degno del perdono divino. Era diffusa credenza che per ben morire si dovesse ben vivere e a tal riguardo vennero scritti dei manuali ad uso dei sacerdoti e delle persone pie, le cosidette "artes moriendi" (arte della morte), in cui si descriveva dettaglitamente tutto ciò che bisognava fare in vita per guadagnarsi un posto in Paradiso. In questi manuali, oltre al rispetto dei principi evangelici e ai dettami del catechismo, c'è un'insistenza particolare per una continua meditazione sulla morte, da molti -non ultimo San Francesco d'Assisi- ritenuta il miglior amico dell'uomo, unico evento che permette all'anima pia di avvicinarsi al suo creatore. Ricordiamo, ad esempio l'espressione "memento mori" (ricorda che devi morire) con cui i frati si salutavanoo incontrandosi e le rappresentazioni pittoriche del Trionfo della Morte (Pisa, Camposanto; Pinzolo, Trento).
La morte ha inoltre una finalità sociale: come verrà detto in tempi moderni nella poesia " 'A livella", ogni essere umano,
ricco o povero, felice o disperato, brutto o splendido, si troverà nelle stesse condizioni degli altri, in un presagio di
uguaglianza ben lontano dalle reali condizioni sociali dell'epoca. Del resto, le grandi epidemie di peste colpivano
indiscriminatamente ogni strato sociale.
Da una morte (quella di Beatrice) prenderà l'avvio del più grande poema in lingua italiana, da una morte (quella di Laura)
nascerà il canzoniere più famoso d'Europa: sia Dante che Petrarca si muovono da una perdita personale ed allargano la
portata della loro riflessione a temi di carattere morale e spirituale di valore assoluto.
Il Rinascimento è senz'altro un periodo storico dominato dal senso per la vita, per cui nelle opere letterarie rimane scarsa
traccia di questo argomento. Solo la letteratura religiosa continua a trattare la morte con lo stesso tono del periodo
precedente: in questo senso sia gli scrittori cattoloci che quelli riformati considerano la morte come l'inizio della vera
vita.
Tuttavia l'arte figurativa presenta varie volte la figura del corpo morto per eccellenza, quello del Cristo, che pian piano,
soprattutto nell'arte nordica, diventa il simbolo del disfacimento della carnea dell'essere umano. Con Leonardo da Vinci,
inoltre, la conoscenza dell'anatomia, acquisita grazie alla dissezione dei cadaveri (in passato osteggiata dalla Chiesa,
adesso appena tollerata) porta l'uomo a studiare la morte nel suo aspetto più spiccatamente fisico. Le splendide opere
scultoree di Michelangelo (la "Pietà" nelle sue varie versioni), i dipinti di Mantegna, Bellini, Raffaello, e della scuola
manierista -per citare solo alcuni tra gli artisti italiani che hanno trattato il tema della morte- presentano un'anatomia
curata, e qualcuna di queste opere osa giungere alla rappresentazione realistica della morte.
Durante il '600 il gusto della rappresentazione figurativa della morte si accentua fino ad arrivare a risultati decisamenti macabri: è il caso di alcuni dipinti e incisioni barocche che mescolano teschi a drappi e a belle fanciulle svestite nell'ormai consueto monito che esorta alla morigeratezza e denuncia la transitorietà del mondo ("Sic transit gloria mundi"; scuola delle Vanitas). E' evidente che l'esortazione alla morigeratezza diventa spesso il pretesto per una rappresentazione lasciva e compiaciuta delle attrattive carnali che si pretende di castigare -posizione affine al puritanesimo intollerante che, ossessionato dalla sporcizia del sesso, si trova a ritenere contaminati elementi di vita chedel sesso non vengono minimamente influenzati. In questa logica rientra anche la cosiddetta "natura morta" (in inlgese si chiama , curiosamente, "still life", vita ferma), dapprima un trionfo di oggetti d'uso qoutidiani e di frutta, poi, con il passare del tempo, cronaca accurata dell'effetto del passaggio del tempo su tali oggetti: nei dipinti, anche non rappresentanti nature morte, compaiono insetti, carni dal colorito livido (Caravaggio "Il bacchino malato","la Morte della Madonna", "La deposizione") fino ad arrivare alla rappresentazione diretta della morte in quanto tale con i quadri delle lezioni anatomiche di Rembrandt.
Il razionalismo in risposta alle correnti spiritualiste dei secoli precedenti, già presente in nuce nel '600, si afferma con vigore nel '700 e avrà il suo apice nell'Illuminismo. La scienza nel frattempo ha cominciato a rendersi conto del funzionamento del corpo umano (già definito da Cartesio nel secolo precedente "una macchia"), e anche la morte viene osservata con distacco. La religione, che fino ad allora aveva segnato i ritmi della vita, e quindi anche della morte, viene messa da parte: a partire dalla Rivoluzione Francese i cimiteri verranno spostati lontano dai centri abitati per ragioni igieniche. Con questa nuova pratica (portata in Italia da Napoleone) i vivi venivano sì messi al riparo da possibili contaminazioni causate dalla decomposizione dei corpi, ma venivano allontanati dal quotidiano saluto che potevano fare ai loro defunti sul sagrato delle chiese (dove un tempo c'erano i cimiteri) o nei luoghi in città preposti a tale scopo.
Con l'Illuminismo comincia il processo di sterilizzazione della morte che per certi versi continua ancora oggi. Tuttavia in
pieno '700 uno scrittore come de Sade, che per certi versi appartiene più alla storia del costume (se non della psichiatria)
che alla storia della letteratura, si apre alle spinte dell'incoscio e descrive scene macabre ed oscene insieme, in continuità
con il secolo precedente, ma in anticipo sui tempi, in quanto l'irrompere sfrenato delle pulsioni, tra cui il binomio freudiano
Eros/Thànatos, comincerà ad offrire abitualmente materia all'arte solo nel secolo successivo.
Il fatto di aver associato alla morte l'amore fisico, alla passione sessuale, comunque, inaugura un altro filone di gusto che,
accanto al precedente, di stampo più "scientifico", è tutt'ora presente con forza nella nostra cultura.
All'inizio del XIX secolo nei "Sepolcri" Foscolo rimpiange i tempi passati, in cui l'omaggio dei vivi ai defunti era quotidiano
a causa di una continuità spaziale e di una diversa disposizione d'animo. Per tutto l'Ottocento ci sarà una forte presenza del
tema della morte nella letteratura e nell'arte: di volta in volta una morte eroica che coglie sui campi di battaglia o nelle
sventure, una morte sensuale che seduce la carne dei viventi come una bella donna, una morte per sfinimento fisico e morale,
una morte demoniaca che afferra l'uomo suo malgrado per farlo precipitare in un abisso senza fine di orrore e distruzione.
Il nuovo interesse per la morte pervade tutta Europa e diventa quasi uno dei sinonimi della cultura romantica e post-romantica,
soprattutto nell'associazione amore/morte: quanto più la morte è strana, "pittoresca", carica di significati umani e sociali,
tanto più diventa un tema assoluto, degno di essere rappresentato artisticamamente.
Il tema della passsione amorosa fatale, inoltre, tocca il suo culmine proprio con la cultura decadente: in pieno positivismo,
che come l'Illuminismo settecentesco, assegna il primato filosofico alla ragione, in un'epoca segnata dalle conquiste della
scienza e delle innovazioni tecnologiche, si ripropone un'insistenza al limite della fissazione per la morte causata da una
passione (personale o civile) troppo forte, in un intreccio tra carni vive e carni in disfacimento che ha toccato il suo culmine,
ad esempio, in Baudelaire (anche Poe, comunque, per quanto appartenente ad un periodo di poco precedente, affronta lo stesso
tema).
La cultura attuale risente delle culture contrapposte che l'hanno preceduta. Da una parte permane fortissima l'associazione
eros/morte, soprattutto dopo la comparsa dell'AIDS che, lungi dall'essere un fenomeno chiaro nelle sue dinamiche, sembra
funzionare con una valenza simbolica molto meglio di altre patologie.Dall'altra, per reazione all'orrore del dispfacimento
inevitabilmente connesso alla morte, si sottolinea l'importanza di una forma fisica perfetta quale inconscia soluzinone del
problema. Inoltre, la crescente abitudine a vedere la morte su larga scala come un fenomeneno quotidiano si allea con gli
atteggiamenti nella rimozione della morte e delle sue reali dimensioni.
A livello dell'inconscio collettivo, la condanna sociale per una sessualità diversa da quella considerata normale, in passato
repressa perfino per legge ("La lettera scarlatta" di N. Hawthorne è esemplare quale testimonianza della repressione sessuale
e affettiva in un contesto non così distante dal nostro per pruderie e violenza privata), ai nostri giorni si abbatte non con
atti legislativi ma con il terrore per l'appestato, da molti considerato meritevole della malattia in quanto dedito a una
vita sesuale non allineata agli standard correnti.
Alcuni settori medici sostengono che l'AIDS in quanto malattia non esiste, e che il meccanismo di azione dell'HIV -ammesso
che questo sia poi il responsabile di una sindrome che a molti sembra costruita a tavolino-non sia quello che comunemente
si crede. Alcuni settori della medicina non tradizionale pensano inoltre che tale affezione possa derivare da altre cause,
quali un male di vivere spunto all'estremo limite, e da disordini di tipo spirituale-affettivo. Se così fosse, si portebbe
ipotizzare che il disgusto collettivo per la devianza abbia trovato in un dato oggettivo ancora poco indagato materia per
scatenare una feroce campagna di emarginazione in cui la paura del contagio ha preso il posto della condanna. Esattamente
come durante le pestilenze del passato, di cui non erano note le cause, oggi si ama ricercare l'untore da additare al
pubblico ludribrio, da allontanare e bollare come reietto da tutti. Se non bastassero i segni patologici noti con il nome
di AIDS, certo basterebbe questo groviglio di sentimenti di disgusto ad uccidere una persona.
Al tempo stesso, e per le stesse ragioni salutistiche, qualsiasi altro tipodi morte -per vecchiaia, per malattia, per droga-
rimangono ai margini del'immaginario collettivo, che si sforza di omologare ogni manifestazione di vita alla mediocre
piattezza del noto. Ciò che scardina un placido scorrere di esistenza tra lavoro e passatempi consueti -che sia la morte,
la passione o perfino un diverso modo di alimentarsi-va rimosso perchè disturba, fa pensare, offre appigli per un livello
di esistenza che non sia basato sulla pura esteriorità.
In questo senso la ricerca ostinata dalla perfetta forma fisica, che nella nostra società genera fenomeni seri quali
l'anoressia, la depressione, il ricorso ad anabolizzanti e alla chirurgia estetica estrema, ricorda i tentativi eugenetici
nazizti: un tempo la bellezza del corpo rappresentava l'affermazione di una razza e di una cultura superiore; oggi
l'ossessione per un corpo avvenente rappresenta l'affermazione del transitorioi sull'eterno.
Cos'altro è questo mito dell'eterna giovinezza se non il ritrarsi della coscienza di fronte ad un mistero che non si riesce
a far entrare in categorie scientifiche rassicuranti e per questo viene rigettato come inutile e risibile? Cos'altro è
questo patetico affannarsi dell'uomo la cui presunzione lo porta a credersi padrone del tempo e della vita perchè le sue
convinzioni non vengano scardinate dall'irrompere dell'irrazionale?
Il problema filosofico che permea la nostra società è molto serio e non permette nessun cedimento a facili semplificazioni.
La razionalizzazione del reale è evidentemente basata sul timore: timore di non saper gestire, timore di perdere la propria
identità, timore di vedere il proprio mondo dissolversi in un oceano di inconoscibile profondità.
Il sublime ai nostri sensi anestetizzati e riluttanti all'esperienza apparte perturbante, insostenibile perfino alla vista:
figuriamoci poi all'analisi filosofica o peggio, a quella esperienziale.
In questo modo tutto ciò che non si inquadra nelle categorie razionali -le uniche che per convenzione storica sembrano
fornire una qualche sicurezza- viene allontanato con disgusto, in quanto mete a repentaglio un modo di vivre consolidato.
E la portata rivoluzionaria dell'esperienza amorosa o di quella religiosa, realmente pericolose per una vita struttutata in
sequenze prestabilite, rimane ai margini del vissuto in quanto il dissolvimento viene considerato il male assoluto da evitare
a qualsiasi costo.
Tutto ciò che di tali esperienze è segno -la passione amorosa come il fondersi di due anime, la morte appunto come segno
dell'assoluto, del perdersi nel divino- rimane incomprensibile e in qualche modo ammantato di sospetto.L'operazione di
rimozione di tali perturbanti aspetti dell'esistenza è diventata pratica comune (cfr. "Una morte sterile e indolore:per chi?),
giusificata dal desiderio di perpetuare all'infinito le categorie misurabili della vita con parametri misurabili (una persona
viene definita morta a seconda dello stato e della legislazione in cui trova, cfr "Morte e trapianti d'organo").
Si diceva dell'abitudine alla morte su grandi numeri. Le due guerre mondiali, i campi di sterminio, i continui réportages su
stragi e disatri in parti del mondo fino a pochi anni fa irraggiungibili per i più, hanno abituato l'uomo medio a guardare
la morte con indiferenza, alla stregua di una notizia qualsiasi. La visone continua di corpi senza vita non irrita più, non
genere orrore e un forte senso di umanità, perchè spesso si stenta a riconoscere l'essere umano in mezzo alle grandi cifre
o alle tragedie lontane, mentre basterebbe la considerazionedella comune natura umana a frantuamare l'indifferenza e ogni
altro tentativo di rimuovere il problema morte. Ogni morte è uguale alle altre per intensità e valore, ogni essere umano
che muore ha diritto all'affetto e alla cura amorosa dei vivi, a qualsiasi latitudine muoia, a qualsiasi ceto, popolazione,
sesso, religione, appartenga. Così come ogni vita che nasce ha il diritto al rispetto e all'amore, allo stesso modo ogni
vita che si spegne richiede il nostro impegno personale perchè in occasione della morte ci troviamo di fronte al mistero
primo, quello dell'esistenza.
Ci sono altre culture oltre quella occidentale che del dissolvimento hanno fatto il centro significativo dell'esitenza e che di
fronte alla morte hanno sviluppato un atteggiamento sereno, se non di sollecito e concreto aiuto, sia per i vivi che per i morti.
La nostra cultura spesso le ha bollate come segnate dalla superstizione e le ha considerate solo come fonte inesauribile di
stranezze buone solo per gli etnologi, non rendendosi conto che, con il suo razionalismo anti-spirituale, sta facendo in modo
che la morte, lungi dal rimanere esperienza di quelli che la provano in prima persona, sia il segno sotto cui si pone ogni
manifestazione, sociale e privata, della nostra esistenza.
Si noterà che talvolta, invece che analizzare l'atteggiamento di una cultura nei confronti della morte, si parlerà degli
antenati o dell'immortalità, segno, questo che la morte viene assimilata ad altri aspetti della vita nel segno della
continuità e che comunque, la morte rimane al centro dell'indagine filosofica e religiosa.
ALTRE CULTURE
Una cultura è l'espressione di un modo di pensare collettivo, che riassume i bisogni e le aspirazioni di una collettività.
In tal senso le pratiche religiose concretizzano in atti liturgici e riti un sentire comune, che si è coagulato in atti
simbolici per poter essere significativi. La società che si espime cultualmente è ben lontana dall'essere un semplice
oggetto di manipolazione da parte del potere: si potrebbe dire che anche le forme di potere sono espressione di quella
cultura, così come i limiti, le intolleranze e i pregiudizi legati a quel momento storico-evolutivo.
Ogni civiltà ha le pratiche che si merita, così come ha il sistema medico, la forma di potere che si merita -che ha cioè
generato tramite il lavoro dell'inconscio collettivo.
Il fatto che le civiltà orientali di tutti i tempi, dall'Occidente ritenute genericamente più arretrate in quanto prive
di un sistema tecnologico strutturato, si siano espresse in termini più esplicitamente rivolti alla spiritualità può
rappresentare un'indicazione preziosa su quale sia il vero rapporto dell'uomo allo stato naturale, non tecnologizzato,
con il mondo dell'invisibile.
ESOTERISMO: RITI DI PASSAGGIO E DI ACCOMPAGNAMENTO
Il mistero che grava intorno alla vera funzione delle piramidi (mausolei celebrativi o veri e propri traghetti per l'aldilà
costruiti su coordinate celesti?) riassume simbolicamente la intricata relazione che corre tra la morte di una persona e la
massa di atti che intorno a questa morte vengono progettati ed eseguiti.
In esoterismo si afferma che qualunque atto ha un peso e una risonanza...
Continua in "Morte Secondo atto" !
BIBLIOGRAFIA
• I. Magli "Antropologia della morte fra storia e società" in "Enciclopedia della scienza e della tecnica" Mondadori, Milano, 1985
• Y. Bonnefoy et alii "Dizionario delle mitologie e delle religioni", Rizzoli, Milano, 1989
• "Enciclopedia delle religioni", Garzanti, Milano, 1989
• "Il senso della vita e della morte nell'Itala del medievale", Einaudi, 19XX
• "La reincarnazione" di A.Nangeroni, Xenia, Milano, 1985
• "I vangeli apocrifi", Einaudi, Torino, 1999
• "La natura morta" di A.Veca - Art e Dossier, Giunti, Firenza, 1985
• "La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica" di M.Praz, Sansoni, Firenze, 1984
• "Le energie elementari del tantra -il lavoro sulle emozioni attraverso il simbolismo dei colori" di N.Chögyam, Ubaldini, Roma, 1991
• "Non uccidere -perchè è necessario abolire la pena di morte", Guerrini e associati, Milano, 1998
• Atti del convegno di Bologna sulla pena di morte tenuto da Amnesty International.
• "Dizionario di medicina per le famiglie" di U. di Aichelburg, UTET; Torino, 1969 • "Medicina legale e delle assicurazioni" di M. Fallani manuale della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Esculapio, 1988. (*)
• "L'approccio umano al malato -aspetti psicologici dell'assistenza" di C.Iandolo, Armando, Roma, 1983
• Film: "All that jazz", Bob Fosse, 1979
• nei motori di ricerca (Altavista): "morte" (lingua italiana); "death" (nella rete)
RINGRAZIAMENTI PARTICOLARI
Si ringrazia per il materiale offerto il sito www.thanatos.it